I ricordi legati ad esperienze traumatiche finiscono con l’essere il nostro personale punto di vista della realtà e non il resoconto fedele di ciò che è accaduto. La mente costruisce schemi e mappe, finendo con l’essere maggiormente orientata verso ciò che conferma le proprie aspettative e “catturata” dagli eventi che si situano al di fuori delle nostre solite abitudini. Il ricordare o il dimenticare una determinata esperienza e la vividezza con la quale la ricordiamo dipendono soprattutto da quanto essa sia stata importante per noi e da quanto ne siamo stati coinvolti emotivamente in quel preciso momento.
La nostra sensazione di tranquillità è il risultato di un equilibrio tra il cervello emotivo (amigdala e ipotalamo) e quello razionale (ippocampo, cingolato anteriore, corteccia prefrontale). Quotidianamente questi due sistemi di memoria (emotivo e razionale) collaborano sinergicamente fornendo una risposta integrata di fronteggiamento dell’esperienza. Un improvviso stato di allerta può alterare l’equilibrio tra queste due aree o finanche disconnettere altre aree cerebrali (come l’ippocampo e il talamo) necessarie ad un adeguato immagazzinamento e codifica delle informazioni in entrata. Ciascuna esperienza sensoriale è, infatti, elaborata dal talamo e poi trasmessa all’amigdala che ne valuta il significato emotivo. Informazioni che possono essere rilevate come nuove e, quindi possibilmente minacciose, causano l’attivazione immediata dell’ipotalamo che secerne ormoni dello stress (per consentirci di attaccare o fuggire) ancor prima che tali informazioni siano state processate dai lobi frontali per valutazioni più sofisticate e ponderate (LeDoux, 2012).
In condizioni ordinarie un’esperienza emotivamente intensa è causa di una produzione maggiore di adrenalina (l’ansia per un esame, una scadenza lavorativa, ecc…) necessaria per una maggiore lucidità, prontezza di riflessi e nel tempo una migliore accuratezza della nostra memoria (eu-stress). L’intensità emotiva di tali esperienze, però, è utile solo entro uno specifico range di tollerabilità. Esperienze traumatiche e shock emotivi, difatti, possono viceversa impedire che la memoria di tali eventi si organizzi secondo una narrativa logica e coerente favorendo, invece, la formazione di ricordi costituiti solo da frammenti sensoriali ed emotivi (costituiti principalmente da immagini che si sovrappongono, suoni e sensazioni fisiche intense e dolorose). A differenza di altri ricordi, questi sembrano essere immutabili e, una volta rievocati, difficilmente abbandonano la nostra consapevolezza, imprigionando la persona in un presente sempre uguale a sé stesso. I ricordi di un trauma sono, ad esempio, persistenti e frequenti, ma allo stesso tempo pochi e poco accurati (Van Der Kolk, 2015).
Janet, già nel 1889, parlava di automatismo psicologico secondo cui le persone vittime di un trauma possono non avere memoria dell’accaduto ma continuare a ripetere in maniera automatica, inconsapevole e involontaria le stesse azioni, provando nel presente le stesse sensazioni ed emozioni dirompenti vissute nel trauma. Janet sosteneva che il problema fosse una dissociazione tra “memoria narrativa” – quasi assente, infatti, in molti pazienti con Disturbo Post Traumatico da Stress – e “memoria traumatica”. Una dissociazione tra memoria implicita e memoria esplicita, e ancora tra memoria semantica ed episodica (Liotti e Monticelli, 2013).
Le memorie traumatiche sono spesso associate a specifici trigger (talvolta apparentemente non collegati all’evento traumatico) e, a differenza delle memorie ordinarie, non subiscono variazioni poiché non elaborabili ed integrabili coerentemente nella memoria autobiografica della persona.
Tali ricordi restano congelati e immutati nel tempo, possono persistere per un lungo periodo con straordinaria vividezza e possono emergere senza alcun controllo per le persone traumatizzate. Si manifestano, inoltre, come esperienze mnestiche isolate, cariche di emotività, motivo di sensazioni di forte umiliazione e alienazione. Sembra impossibile lasciarsi alle spalle l’evento reale, ma anzi, quell’esperienza si riattualizza nel momento esatto in cui è riportata alla mente, il passato è attuale, il passato è presente. Le sensazioni, le emozioni e i pensieri collegati all’evento traumatico restano immagazzinati separatamente in blocchi dissociati, impedendo al cervello di riconoscere che “quello che era allora e non è ora”.