Nel corso del tempo gli studiosi della memoria hanno cercato di ideare delle tecniche sempre più specializzate per acquisire il controllo delle singole operazioni di memorizzazione condotte da un soggetto, individuando principalmente tre processi, ovvero tre fasi di formazione e di recupero dei ricordi: 1) encoding, ossia la fase d’osservazione e percezione, analisi e interpretazione, registrazione e codificazione dell’evento; 2) storage (o immagazzinamento) ovvero il “destino” delle tracce apprese che, nel tempo, possono essere frutto di rielaborazioni inconsapevoli dovute al soggetto stesso o all’influenza d’informazioni successive agli eventi memorizzati; 3) recall, in altre parole la fase di recupero, di rievocazione dell’evento, distinta in “richiamo” (ossia il libero e intenzionale resoconto degli accadimenti), “riconoscimento” e “recupero associativo” ad opera di specifici triggers.
Molti sono i fattori che possono intervenire in questo complesso processo in ciascuna delle fasi individuate. Il costrutto teorico degli schemi, infatti, afferma che gli script (strutture di dati per rappresentare concetti immagazzinati in memoria, un set organizzato spazialmente e temporalmente di aspettative su come saranno e si susseguiranno gli eventi) spiegano il modo in cui la conoscenza in genere è organizzata e come, tale organizzazione, influenzi i successivi processi di memorizzazione, sia al momento della selezione dei contenuti, sia nell’organizzazione del ricordo vero e proprio.
Gli studi in laboratorio (Schacter, 2001) hanno dimostrato che la semplice intenzione di ricordare raramente si dimostra utile, a meno di non tradurla in una efficace codifica elaborativa. “La memoria rientra nel tentativo del cervello di imporre un ordine sull’ambiente” (Schacter, 1993). Detto altrimenti le informazioni, una volta codificate, sono sottoposte alla costante “attività di categorizzazione e ri-categorizzazione degli eventi del mondo” (Edelman, 1992). Le nostre conoscenze pregresse danno forma a ciò che selezioniamo ma, allo stesso tempo, l’immagazzinamento di nuove esperienze può interferire con la nostra capacità di rievocare le precedenti. Il senso che noi diamo alle nostre esperienze influenza il come e il cosa ricordiamo. Finanche il semplice raccontare una storia può modificare la storia stessa, soprattutto se la si racconta ripetutamente (Williams, 1992).
A tutt’oggi gli psicologi della memoria si chiedono se tale influenza reciproca tra le conoscenze già acquisite e le nuove esperienze porti gradualmente ad una trasformazione crescente ed irreversibile di una traccia mnestica, o al contrario, alla compresenza in memoria di più copie di uno stesso evento. Ed ancora, ci si chiede, se alcune esperienze possano essere perdute per sempre senza alcuna possibilità di essere recuperate.