Le trappole della mente sono numerose. In particolare, la “trappola della felicità” è correlata ad un tipo specifico di relazione che abbiamo con la nostra mente. Questa relazione, nella prospettiva dell’Acceptance and Commitment Therapy, può essere riassunta con l’acronimo F.E.A.R. (che in inglese vuol dire paura) Fusion, Evaluation, Avoidance e Reason-giving (Walser e Westrup, 2009; Hayes e Smith, 2005).
Fusion (fusione)
Ci fondiamo con la nostra mente, quando perdiamo la nozione che noi siamo esseri umani che hanno una mente, e non che siamo quella mente. Quando ci “identifichiamo” fino a questo punto con la nostra mente, finiamo con il credere che quello che essa dice sia la verità assoluta e che corrisponda alla realtà. Possiamo provare un profondo ed inutile dolore quando, ad esempio, ci identifichiamo con un pensiero tipo “non mi perdonerà mai, ormai mi odia” e finiamo con il credere che sia la verità e non un pensiero. Quando ciò accade la miglior strategia è il dis-identificarsi, riconoscere che noi abbiamo una mente, o meglio abbiamo avuto un pensiero, osservarlo ed esserne consapevoli e lasciare che da solo vada via per dare spazio ad un altro pensiero. Qualsiasi pensiero ha una durata molto breve se non alimentato dalle nostre paure e aspettative.
Evaluation
Anche le valutazioni possono essere una brutta bestia. Certamente possono essere funzionali quando ci consentono di fare dei paragoni, dei progetti, risolvere dei problemi e prendere delle decisioni. Spesso ci consentono anche di esprimere dei giudizi. Bisogna essere molto parsimoniosi con il giudizio. Spesso, giudicando si arriva rapidamente a criticare duramente noi stessi, il nostro partner e la nostra relazione. Continuamente la nostra mente valuta e ci svaluta. Anche in questo caso è necessario fare un passo indietro, ricordarci che noi abbiamo una mente, e ricordarci che non sempre la mente è una nostra amica e dice la verità. Quindi possiamo limitarci ad osservare che abbiamo avuto un giudizio, esserne consapevoli e non identificarci con esso.
Avoidance ( Evitamento)
L’aspetto forse più distruttivo dell’evitare le esperienze negative è che fortifica risposte che limitano le nostre chance di essere connessi e di appartenere, oltre che la nostra paura stessa di non riuscire ad evitare quella cosa.
In un film dell’orrore nell’attesa dell’assassino, mentre la colonna sonora incalza, raggiungiamo i livelli di maggiore ansia. Una volta giunto l’assassino, la tensione cala. Un torturatore che non dice alle sue vittime cosa potrà accadere può essere considerato un bravo torturatore. Allo stesso modo il piccolo del cormorano, si agita per ore, prima di spiccare il suo primo volo.
Spesso, è l’attesa, la minaccia di un pericolo o un di cambiamento ad essere più angosciante della cosa in sé. Ciononostante, molte persone scelgono di evitare il più possibile un colloquio, un confronto con il partner, il rimprovero di un genitore, o di rimandare il più possibile qualsiasi problema o trasformazione, pur sapendo che prima o poi dovranno farlo. A questo punto, però, anche una volta che è affrontata la situazione l’ansia non cala rapidamente a causa della paura e delle credenze patogene accumulate nel tempo dell’attesa.
Reason-giving (cercare le risposte)
Molto spesso cerchiamo le ragioni di una sofferenza nel tentativo di eliminarla, ma in realtà sono proprio queste spiegazioni, “storie” che ci raccontiamo a farci soffrire. Ad esempio potremmo credere che il motivo per cui una persona che ci piace non risponde ad un sms, sia perché non le piacciamo, e così potremmo decidere di non contattarla più per la paura di essere respinti. La soluzione ideale sarebbe, anche in questo caso, semplicemente constatare che questa persona non ha risposto, e se abbiamo un pensiero di questo tipo possiamo semplicemente essere consapevoli che è solo un’ipotesi, una delle tante possibili ma non necessariamente la vera: è solo una storia che racconta la nostra mente in questo momento.
La pratica della consapevolezza può insegnarci a vivere pienamente, così che, dopo che tutto sarà stato detto, sentito e fatto, saremo in grado di poter dire “Ho vissuto bene e pienamente la mia relazione. Sono stato amato e ho amato”.
L’approccio Acceptance and Commitment Therapy, ad esempio, utilizza sei principali processi per insegnare a intraprendere questo percorso:
- Identificare quali sono i principali interessi e valori che ci appartengono.
- Coltivare l’accettazione di sé stesso e l’altro.
- Modificare i processi di “fusione” con la mente (defusion).
- Entrare pienamente in contatto con il fluire delle esperienze che si presentano, e vivere più pienamente il momento presente.
- Entrare in contatto con un più ampio senso di sé che accolga i nostri pensieri, sensazioni e emozioni.
- Costruire nel tempo un range sempre più ampio di comportamenti e stili di vita che consentano il rispetto dei nostri valori più radicati (committed action)
Questi processi possono, infatti, favorire una consapevolezza più profonda dell’esperienza della vita di coppia, favorendo l’accettazione senza giudizio di sé e dell’altro nel momento presente, aiutando entrambi i partner a scegliere stili di vita che rispecchino i propri valori.